I luoghi del martirio e la Chiesa di Sant’Agata al Carcere
Tra i luoghi a cui i cittadini catanesi sono più affezionati, la Chiesa di Sant’Agata al Carcere è un edifico di culto che racchiude storie, testimonianze e pagine di cultura importanti e antichissime: secondo gli Atti del Martirio, la giovane e coraggiosa Agata vi dimorò durante la cruenta detenzione a cui la costrinse il crudele Proconsole Quinziano.
Incisa nella memoria collettiva dei catanesi - e sulla salda roccia lavica - è l’impronta della giovinetta Agata presso l’angusta cella attigua all’ambiente principale della chiesa. Rigoglioso e verdeggiante è l’albero di ulivo che ricorda l’incorruttibile Agata allacciarsi una scarpina e andare incontro al proprio inesorabile destino. Testimonianze che accolgono ogni visitatore, in questo luogo fatto di devota solennità.
Le fondamenta della chiesa custodiscono reperti archeologici di inestimabile valore, risalenti al periodo romano imperiale e tardo-imperiale, ossia al contesto in cui fiorì rigogliosamente e dolorosamente si spense la vita terrena di Agata; un’aula tripartita e, forse, triabsidata e un primissimo santuario cristiano - un sacello - che secondo fonti storiografiche fu dedicato a San Pietro.
La storia del culto agatino racconta, con parole diverse, con espressioni popolari e folkloristiche, le vicende di una città e della sua stratificazione costretta dagli implacabili eventi della natura, dalla forza distruttiva della lava e dei terremoti che tanto hanno piegato e, nel contempo, fortificato l’animo catanese. Ci fu il tempo della Catania del Tardo Medioevo: giaceva, immobile e impenetrabile, il bastione del Santo Carcere, attiguo alla Porta del Re lungo il perimetro delle mura di Carlo V, edificate a difesa della città insidiata soprattutto dalle scorribande dei pirati arabi.
Persiste, tutt’oggi, parte dell’architettura di quel tempo oramai lontano: è l’area dell’abside semicircolare, accanto al presbiterio, dietro l’altare maggiore. La struttura dell’ingresso, della controfacciata e della navata sono state ricostruite dopo il rovinoso terremoto del gennaio 1693, palesi testimonianze del desiderio collettivo di rinascita, di fede, di bellezza. Tra i talentuosi architetti che collaborarono alla ricostruzione della chiesa ricordiamo Francesco Battaglia. La facciata è stata progettata da Giovan Battista Vaccarini e fu ricostruita a partire dal 1734; poco dopo, l’ingegnoso architetto catanese per adozione, si sarebbe dedicato al suo capolavoro di assoluto equilibrio ravvivato dall’eleganza vivace e travolgente del Barocco: la Badia di Sant’Agata. Quella del Santo Carcere è una facciata barocca suddivisa in due registri, ossia in due fasce di estensione orizzontale poste una sopra all’altra e scandite da un cornicione sporgente. Il registro superiore, con le sue vezzose volute a chiocciola ai margini della balaustra - ricorrenti nelle architetture del Barocco -ospita il campanile che si affaccia tra corte paraste che sorreggono uno slanciato frontone in cui l’effige di Sant’Agata, entro un medaglione, troneggia e trionfa tra gli angeli, vicina ai suoi fedeli ma rivolta all’immensità del cielo. Il registro inferiore è scandito, nel suo prospetto centrale e aggettante, da lesene giganti con capitelli dorici.
Il portale di accesso, monumentale e sontuoso, è un reperto di riuso recuperato dalle macerie della facciata della Cattedrale; è imponente, in stile romanico, dotato di strombature. E’ enigmatico nel complesso dei significati iconografici e iconologici espressi dalle sculture monumentali che sormontano i capitelli all’apice delle colonne che sorreggono la bellissima cornice delle arcate a tutto sesto. Sono state scolpite figure di animali fantastici, di elementi floreali e di ambito sacro.
E’ risaputo che a Catania le testimonianze culturali e storiche coesistano, seppur distanti nel tempo, come le care amicizie di una vita. Nella chiesa medievale e, insieme, settecentesca, sono esposte una pala d’altare di Bernardino Niger, un pittore tardo-manierista, che raffigura il martirio di Sant’Agata e frammenti della cassa lignea adoperata dai temerari Goselmo e Gisliberto al ritorno da Costantinopoli: Sant’Agata sarebbe tornata per sempre a casa.
Stefania Calì